Le monoposto di Woking, dominatrici assolute del campionato ‘84, sono rimaste in sordina per i primi 20 giri. Strategia a zero soste; si comincia a spingere solo da metà gara.
De Angelis capisce che ora solo un miracolo può salvare le John Player Special, nell’arco di un paio di giri avrà alle calcagna le monoposto più performanti del lotto.
Alla guida, Prost, “il Professore” e Lauda “il computer”.
Non c’è tempo per pensare. Sono già qui.
Rosberg, troppo impegnato a guardare avanti, si rende conto dell’arrivo dei due mastini quando ormai stanno già bussando alla porta di De Angelis.
Perde la pazienza.
E’ rimasto per troppo tempo incastrato tra le due Lotus, per vincere contro le Mclaren la sua fuga in sella al primo posto sarebbe dovuta cominciare molto prima.
Due giri, tanto basta a Prost per rilassarsi dopo aver compiuto la rimonta sul gruppo di testa.
E il professore sale in cattedra.
Prost calcola bene ogni suo spostamento e la conseguente reazione di De Angelis.
In men che non si dica il bianco-rosso della Marlboro è davanti agli occhi del pilota italiano.
Rosberg sente Prost a pochi centrimetri dei suoi scarichi, mentre davanti Mansell rimane statuario in prima posizione.
Non riesce a credere di non riuscire a passare.
Il ritmo è bassissimo, può girare molto più forte di cosi, la sua macchina è molto meno stanca e in trazione potrebbe tenere testa forse anche alle Mclaren.
Ma quella Lotus nera è ancora davanti, ancora dopo 15 giri.
La frustrazione si impossessa del pilota finlandese.
Rosberg comincia ad agitarsi, ogni volta che in un rettilineo ne ha la possibilità alza al cielo la mano imprecando contro il pilota inglese.
La Lotus e la Williams, Nigel e Keke, ora sono una cosa sola.
Pochi centimetri separano le due vetture che sembrano muoversi lungo i muri di Dallas con un solo essere.
Talvolta sembra quasi che Rosberg stia spingendo di forza il suo avversario, mentre ad ogni staccata si ha quasi l’impressione che quel duetto sia destinato ad agganciarsi e spalmarsi lungo un guard rail.
La Williams continua la sua folle corsa chirurgica a contatto stretto con la Lotus, finche Rosberg non ne può più. La sua staccata si ritarda, ma non c’è spazio, nemmeno un pertugio destinato ad aprirsi al suo arrivo.
Keke e la Williams si intraversano e strisciano con tutte e quattro le ruote, la situazione è fuori controllo.
Il pilota finlandese a questo punto può solo appellarsi alla clemenza della buona sorte, che per questa gara sembra avere per lui un occhio di riguardo.
Mansell fa appena in tempo a sparire dietro l’angolo della curva e Rosberg ha il tempo materiale di riprendere in mano la situazione.
Keke capisce di averla scappata di fortuna, cerca di recuperare lo smalto, ma non c’è tempo.
Come una cometa inarrestabile, il professore in un paio di curve è davanti a lui.
Prost è un predestinato, non ha ancora vinto un mondiale, ma già si capisce che il suo nome sarà scolpito nella storia della F1 per i secoli a venire.
A punti all’esordio con una per nulla esaltante Mclaren M29, prima vittoria l’anno successivo a gran premio di casa, in lizza per il mondiale con Renault per due anni di fila, e ora il ritorno in Mclaren con una fame e una voglia di rivalsa mai viste prima.
Lauda, suo compagno di squadra, idolo assoluto della scorsa decade, a fatica regge il confronto in pista.
La sola vista della Mclaren pietrifica Mansell.
Non lui, e ora?
Cosa mi invento?
Ma è proprio in quel momento che succede l’insperabile; ritorna infatti Rosberg.
Il finlandese è accecato, ma tra la rabbia e i muri che gli sfilano affianco a 250km/h ha la lucidità di pensare che se Prost prende la testa, i giochi sono finiti.
Si rifà sotto.
La sua guida è scomposta, impulsiva, difficile da interpretare, forse anche per se stesso.
Potrebbe finire malissimo, invece nel momento decisivo Rosberg è lucido come non mai.
Le marcie inserite al momento perfetto, la staccata ottimale, la linea giusta e la trazione perfetta.
Prost è nuovamente un’immagine nei suoi specchietti.
Mansell, abituato come mai prima d’ora a tenere d’occhio il retrotreno, vede la scena e capisce che in realtà la sua più grande sfortuna è anche una gran fortuna.
Il fatto che ad inseguirlo siano in 4 fa si che nessuno dei suoi diretti rivali possa permettersi di guardare solo avanti, bella scocciatura in effetti, pena la retrocessione per effetto sorpresa.
Mansell riprende la notoria concentrazione e continua a pestare al massimo che la John Player numero 12 può permettergli.
L’asfalto, i guard rail, la folla, non sono altro che misere ombre che spariscono dalla sua vista a velocità inverosimile.
Deve solo continuare così.
Ma come in ogni grande storia che si rispetti, la componente melodrammatica è sempre dietro l’angolo.
Arriviamo alla seconda chicane del circuito.
Contrariamente a quella che ha messo nel sacco il povero Warwick, questa comincia con un sinistra, per poi piegare a destra.
Ormai Nigel l’ha fatta un numero incalcolabile di volte.
La ripete nella sua mente come una filastrocca : “guardo lo specchietto, se non devo difendere allargo a destra, quarta, terza, dentro a sinistra, piano sull’acceleratore, destra, chiedo tutto e mi getto sul rettifilo”.
Ma il destino sa scegliere il tempismo con macabra ironia.
Mansell guarda gli specchietti, Rosberg non è abbastanza vicino per attaccare in questa curva, si allarga a destra.
Quarta.
Terza.
Terza.
TERZA!.
La leva non vuole saperne, sono attimi di panico, Mansell, nonostante non abbia ancora innestato si butta a sinistra e spera.
Spinge con tutte le forze che ha, è disperato, inerme, può solo appellarsi alla macchina o a qualche forza più in alto di lui.
E la terza entra.
Come tornato da un lungo viaggio a rallentatore, Mansell recupera in fretta la lucidità.
E’ al centro della chicane.
Com’era la filastrocca?
Ah si :”destra!”.
Troppo presto.
La ruota anteriore destra entra a contatto con il muretto interno, la macchina rimbalza.
Un errore, il primo, piccolo, tanto basta.
Mansell esce di curva alla metà della velocità, Rosberg non se lo fa chiedere 2 volte.
Non c’è manovra difensiva che tenga.
All’uscita Rosberg e Mansell sono già appaiati.
Dopo altri 100 metri la Williams è in testa.
Mansell si vede scivolare la vittoria da sotto le mani, ma non vuole arrendersi, deve tentare subito la risposta.
Tallona Rosberg da vicino, ha in mente qualcosa, quando arrivano entrambi alla solita chicane, quella di Warwick, quella che poco prima avevano fatto a posizioni invertite.
Mansell finta all’esterno e poi prende l’interno, Keke resta al centro della pista.
Staccata al limite.
Mansell non è davanti, mancano ancora pochi centrimetri, ma sono sufficienti perché Rosberg abbia il diritto di chiudere la porta. Di certo non lo lascerà sfilare tanto facilmente dopo tutto quello che gli ha fatto passare.
Escono dalla chicane con la Williams ancora in testa.
Mansell capisce che probabilmente è finita, Rosberg acquista vantaggio ad una velocità inverosimile.
Solo ora si rende conto di quanto fosse più lento.
Le sue gomme sono agli sgoccioli, non c’è più alcun tipo di aderenza, dietro di se altri 3 mastini all’inseguimento di Rosberg.
Impossibile.
Mansell rientra ai box.
La sosta dei meccanici sembra non terminare mai, gli ultimi 35 giri riemergono sottoforma di ricordi nella mente del pilota inglese.
Si ripete che ha fatto tutto quello che era in suo potere.
Dal muretto, anche Peter Warr non può negargli i complimenti.
Eppure non può fare a meno di continuare a pensare a quell’errore, per cui incolpa se stesso e non il cambio.
Trattiene a stento le lacrime. Ma il podio è ancora alla sua portata.
“Colin, accontentati del podio, rimandiamo la vittoria alla prossima” e riparte sgommando rilasciando tutti i cavalli a disposizione.
Non è finita.
Quando dopo il walzer delle soste ai box, Mansell è quarto.
Davanti a se Rosberg e Prost ormai sono troppo distanti, già in un’altra dimensione, a contendersi la corona. Segue Lauda, che è invece alla sua portata.
Dai box gli comunicano che Prost è passato al comando, c’era da aspettarselo, il miglior pilota del lotto con la miglior macchina non sono facili da tenere a bada. Nemmeno per Rosberg.
Nigel è stanco, la prima metà di gara è stata un montagna russa infinita, tuttavia è carico.
Non aveva mai potuto seguire le sue traiettorie ed era sempre stato costretto alla difesa, ora finalmente corre a briglie sciolte.
Insegue, è al limite in ogni curva, cerca di recuperare decimi ovunque possibile, si diverte, anche se il cambio cerca di farlo tornare con i piedi per terra.
Come ad ogni fine giro, cerca lungo il pit wall se la sua squadra vuole comunicargli qualcosa con un cartello.
Qualcosa c’è, una tavola nera, sopra scritto Man.12 in caratteri dorati. Sotto 2 parole. 6 lettere.
PRO. OUT.
Dallas ha fregato anche il professore.
Mansell ora è terzo.
Dopo 30 giri di agonia per tenersi una posizione, ora ne ha guadagnata una senza fare nulla. Suona quasi insensato nella sua testa.
Vede Prost pochi chilometri dopo, appoggiato ad uno dei tanti muri di Dallas, ancora all’interno della pista con i commissari che gli intimano di scappare.
Lo sguardo è fisso sulla sospensione anteriore sinistra, eppure sembra perso nel vuoto.
Stava vincendo, mentre ora è uno spettatore, la sua macchina invece, un cadavere, abbandonato li, a bordo pista, inerme, spenta.
Passano pochi giri quando dai box continua l’onda delle buone notizie per l’Inglese.
LAU. OUT.
Tutte e due le Mclaren fuori combattimento, statistiche da una su un milione per dire.
Ora è secondo, il miglior risultato in carriera.
Rosberg è distante, troppo, Mansell rallenta, non ha senso sforzare ulteriormente motore e gomme.
Per la prima volta dall’inizio del gran premio ricomincia a respirare.
Arrivati a questo punto, dopo tutto quello che ha passato, è come se la gara fosse finita.
Ma il destino ha ancora delle cartuccie da sparare.
All’ennesimo rettifilo, Mansell lancia la Lotus a tutta velocità : prima, seconda, terza, quarta…..e basta.
Non c’è più la quinta.
E non si tratta più di un timido ostruzionismo della meccanica. Ora la leva non può compiere più alcun movimento in quella direzione, è come cementata.
Mansell spinge, sempre più forte. Tutto inutile.
Passano i giri e il Mansell è ad un passo dal proseguire con una sola marcia.
La situazione è peggiorata velocemente, il ritmo si è alzato di conseguenza giro dopo giro.
Dai box ora gli comunicano ogni giro il distacco da Arnoux, su Ferrari, in terza posizione.
Cala spaventosamente ad ogni tornata, in attimo è già li. Mansell prova una difesa molto timida, ma sa bene che non ha senso insistere, ad Arnoux basta affiancarlo al primo rettilineo.
E’ già sparito.
Poche tornate dopo il copione si ripete, senza pietà.
Mansell deve cede il terzo posto, il podio…..a De Angelis.
Neanche stavolta sarà lui a portare i colori della sua casa sul palcoscenico, Nigel abbassa lo sguardo, non vuole neanche vedere.
Basta un attimo, come una puntura.
Il rombo Renault Turbo della gemella numero 11 gli vibra affianco e sparisce all’orizzonte.
Nigel è praticamente fermo.
Mancano pochi giri, fra poco potrà mettere la parola fine a questo incubo.
Ultima tornata.
Nigel affronta la curve e la sua vettura sembra, anche agli occhi degli spettatori, circondata da un alone di tristezza dello stesso nero pece della carrozzeria.
Con le poche marcie rimaste si spinge praticamente per inerzia verso l’ultima curva.
Ultima accelerazione verso l’ultima curva.
La Lotus singhiozza.
Poi ancora, poi sembra spegnersi, poi un’accelerata improvvisa, poi altri singhiozzi, poi la morte.
Come un guerriero sconfitto mentre annuncia la sua resa, la vettura procede lenta, spenta, nel silenzio generale di una folla incredula. La Benzina è finita.
Mansell non vuole crederci, pensa che è stato uno stupido a pensare di combattere contro il destino di una gara già scritta, ma manca una sola curva.
L’inglese affronta l’ultimo destra con tutta l’inerzia rimasta nella sua vettura, le sue ultime energie.
Dagli spalti molti cercano di capire se la spinta rimasta lo possa far arrivare fino al traguardo, altri invece urlano solamente in preda all’adrenalina, pensando forse di poter aiutare così il loro nuovo beniamino.
Nigel ormai ha raddrizzato il volante, vede la bandiera a scacchi, la macchina ormai è lentissima.
La folla è in visibilio, dall’alto la bandiera a scacchi, sempre più vicina, si agita quasi in preda all’emozione.
Mansell chiude gli occhi, la Lotus si ferma.
Quando rialza la testa al cielo vede la bandiera a scacchi, è davanti a lui, mancano 50 metri.
Il silenzio cala su tutta Dallas.
Mansell slaccia le cinture e scende, poi si accuccia di fianco alla macchina che negli ultimi 56 giri aveva condiviso con lui i momenti più intensi di tutta la sua vita.
“Questa gara la finiamo insieme”.
Il pubblico torna ad urlare, è la scena più bella mai vista negli ultimi anni di Formula 1.
Mansell, dopo due ore di gara, ora sta spingendo il cadavere della sua macchina lungo gli ultimi 50 metri.
40 METRI.
E’ vietato, non serve a nulla, ma ormai per Mansell non si tratta più ne di punti ne di piazzamenti.
Lui deve finire.
30 METRI.
Trova ingiusto che dopo una domenica simile, un uomo non possa vedere nemmeno l’amata bandiera a scacchi sventolare sopra il suo casco.
20 METRI.
Ma Dallas, in quel caldo 1984, non lascia spazio nemmeno ai sentimentalismi.
La vista di Mansell si annebbia, è in ginocchio.
Continua a spingere ancora un po’, ora è vicinissimo, può sentire la folla acclamarlo in un misto di urla e pianto.
Tra le lacrime e i dolori Mansell non si vuole arrendere, ma improvvisamente il buio.
“Mi dispiace Colin”.
Sbatte con il casco sulla carena e rimbalza poi sull’asfalto, ripiomba il silenzio, la macchina ferma, lui anche, a terra.
10 METRI.
Fine del gran premio di Dallas.
Corrono tutti verso di lui, è addirittura Peter Warr ad arrivare per primo, prende Mansell tra le braccia, è’ svenuto.
Quel caldo 8 Luglio del 1984 Mansell viene chiamato per la prima volta “Il leone”, nomignolo che lo accompagnerà per tutta la sua carriera, il pubblico di quel giorno ricorderà Nigel come l’eroe di Dallas.
Uno disposto a morire pur di portare la macchina al traguardo, un pilota per cui la formula uno è molto più che vincere una coppa.
FINE.
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